giovedì 10 novembre 2011

Sotto il piombo dei miliziani marxisti. La vita di “un martire allegro”: il beato Agostino Pro

Militando giovanissimo nell’Azione cattolica giovanile degli anni trenta, ricordo di aver vissuto l’entusiasmo per un personaggio vero: padre Pro.
Le sue imprese, che finirono nel martirio, ci venivano narrate dalla stampa cattolica e dalla produzione di commedie che, nei nostri piccoli teatri, rivivevamo con passione, sempre orientati al periodo delle persecuzioni messicane e spagnole.
Quelle recite avevano sempre lo scopo di esaltare gli eroi cattolici che cadevano sotto il piombo dei miliziani marxisti, al grido di “Viva Cristo Re!”.
A far le spese dei giusti obbrobri messi in scena dai giovani attori, erano i vari presidenti del Messico, specialmente Alvaro Obregòn e Plutarco Calles.
Rivivendo il 24 marzo 2006, la Giornata dei martiri cristiani moderni, ho voluto rileggere qualche cosa del beato Michele Agostino Pro.
Nel suo volume I martiri del XX secolo, Robert Royal nel parlarci anche di lui, ne offre una imponente bibliografia, tutta in inglese o spagnolo. In questo momento, ci sembra, in Italia non ci sia una biografia su di lui. Giovanni Paolo II ha canonizzato padre Pro il 25 settembre 1988.
Poiché era un gesuita, ci siamo rivolti verso Roma. Introdotti da una segretaria, Valeria Torchio, abbiamo potuto conoscere il postulatore della causa di beatificazione di Michele Agostino Pro.
Padre Paolo Molinari ci ha aperto le porte a una maggiore conoscenza del martire.
Abbiano subito capito e ricordato il motivo, (non certo il solo) della grande simpatia già nutrita in passato. Il beato Pro possedeva una carica eccezionale di umorismo, il suo parlare era pieno di battute, i suoi scherzi proverbiali passavano di bocca in bocca.
Era nato a Guadalupe il 13 gennaio 1891. A venti anni decise di entrare nel noviziato dei gesuiti. I superiori notarono la ricchezza di genialità del giovane e ne favorirono varie altre esperienze inviandolo in California, per apprendere l’inglese, nell’università di Granata e in Spagna, per gli studi teologici. Inoltre, data la sua esperienza di miniere, fu inviato in Belgio. Qui, senza trascurare studi di sociologia, passava per vari centri minerari svolgendo nelle forme più varie un intenso apostolato.
Naturalmente per il singolare carattere fiorirono in questi anni episodi edificanti, ma anche molto curiosi e divertenti.
Ci limitiamo a narrarne qualcuno.
In California, senza conoscere bene l’inglese, tenne conferenze straordinarie che raccoglievano folle di ascoltatori: parlava in spagnolo, in latino e anche in inglese con un linguaggio tutto sua, non privo di comicità. Non solo era capito da tutti, ma molti si convertirono alla fede e così poté fondare associazioni giovanili, gruppi di preghiera e simili.
A Granata fu l’animatore esplosivo di quel severissimo studentato. Vi organizzò feste e manifestazioni ricche di modernità.
Trovandosi in Belgio, un giorno, dopo essere disceso nella galleria di una miniera, di ritorno in superficie, volle accompagnare i minatori in treno mentre facevano ritorno a casa. Resisi conto di trovarsi in presenza di un prete, si erano chiusi nel silenzio, finché uno di essi, probabilmente per intimorirlo, gli chiese se si rendeva conto di essere capitato in mezzo a dei socialisti.
Padre Pro, imperturbabile, dichiarò di essere pure lui socialista, solo di essere preoccupato di che cosa avrebbe fatto quando avrebbe avuto in mano i soldi dei ricchi.
Fu consacrato prete nel 1925, a 36 anni come avviene, in genere, per i Gesuiti. Ritorno nel Messico Nel 1926 fu richiamato in patria. Trovò il Messico nel momento più furibondo della crisi. La persecuzione infuriava già dal 1917, ma era di quei giorni la decisione di uccidere, fino all’ultimo, vescovi, preti, religiosi e cattolici bene individuati. Il Primate fu costretto a emettere editto di Interdetto: chiese chiuse, i preti invitati a nascondersi o a espatriare. Di fatto, anche molti vescovi emigrarono, specialmente negli Stati Uniti. I cristiani furono costretti a vivere come nelle catacombe, celebrando i santi misteri di notte, nelle case più umili, non appariscenti. La polizia cercava, indagava, arrestava e fucilava. Così quel tipo straordinario di gesuita divenne quel personaggio eroe sopra ricordato. Venne arrestato più volte, ma riuscì a fuggire e a mimetizzasi in mille modi. Si travestì da donna, finse di essere un poliziotto, sgusciò via anche dalle situazioni più compromettenti. Venne arrestato con i due fratelli Umberto e Roberto. Accusati di aver partecipato all’assassinio del crudele Obregòn, risultarono innocenti, ma non furono, per questo, liberati. Da una finestra della cella, un altro prete prigioniero José de Jesùs Olivares poté seguire l’epilogo doloroso. “Il giorno 13 novembre vidi da una finestra della mia cella che arrivavano nel cortile dell’ispettorato soldati e il personale vario di quando si eseguono fucilazioni… Verso le 10.20 vidi arrivare nello stesso cortile padre Pro scortato da quattro soldati. Il comandante del plotone di esecuzione si avvicinò al padre per dirgli qualche cosa che non potevo sentire, però capì dai gesti che il padre chiese alcuni istanti per raccogliersi in preghiera. Quindi si inginocchiò, prese dalla sua tasca un rosario e un crocifisso che baciò; poi rimase in preghiera qualche tempo, alzando gli occhi al celo. Poco dopo si alzò e voltatosi verso il plotone di esecuzione baciò ancora il santo crocifisso e mise le braccia in forma di croce… quindi la scarica”. Subito dopo, e questo lo sappiamo da altre fonti, anche i fratelli lo seguirono nella sorte. Si narra che i due intingessero la mano nel sangue del fratello facendo con questo il segno della croce.

Don Remo Bistoni

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