venerdì 14 ottobre 2011

Messico, 1911-1940: cronaca di una persecuzione

La storia della Chiesa in Messico rappresenta un esempio di coraggio e resistenza, sottomessa a una violenta ostilità dal 1911 al 1940. Fu così aspra che Pio XI la paragonò a quella dei primi secoli cristiani. Il cattolicesimo messicano non fu reazionario nei confronti dei cambiamenti sociali. "I congressi" social-cattolici anteriori alla rivoluzioni, le numerose iniziative nel campo educativo, sociale e popolare, lo dimostrano ampiamente. Ma le forze liberali e massoniche trionfatrici nel 1917, rimasero nelle mani di uomini visceralmente nemici della Chiesa. Vollero cancellare per sempre l'uomo cattolico messicano. La spiegazione di una così forte intolleranza si deve ricercare nel carattere popolare del Cattolicesimo messicano, la cui diffusione fra la gente era così incomoda da dover essere soppressa con la forza. All'inizio, poiché era impossibile realizzarlo con le armi, si cercò di farlo con le leggi. Ma quando si dimostrarono inefficaci, si tornò ai plotoni di esecuzione. Nessuno dei Martiri fu sottomesso a un processo legale; nessuno fu condannato per crimini accertati dalla legge. Come nel caso di ogni persecuzione, il motivo della condanna fu la semplice appartenenza esplicitamente professata a Gesù Cristo, vivo oggi, confessato senza ambiguità con quel grido ripetuto mille volte da quei martiri prima di morire: Viva Cristo Re! Viva la Vergine di Guadalupe! Ai Martiri messicani si può applicare ciò che Sant'Efrem scriveva sui primi martiri: "Ecco la vita nelle ossa dei martiri: chi oserebbe dire che non sono vivi? Ecco i monumenti vivi, e chi ne può dubitare?" Ecco i monumenti vivi della presenza di Cristo, nei Martiri messicani, e nel "basso popolo cristiano", secondo l'espressione usata dai massoni e dai liberali riformisti di allora. Rimase fedele alla sua fede nonostante le ostilità della massoneria infiltrata nella borghesia economica e intellettuale "criolla", protagonista in parte dell'indipendenza e con frequenza protetta dai fratelli "del Nord" e dell'Europa. Lo studio attento dimostra il preciso progetto di smantellare le radici cattoliche e un dichiarato disprezzo non soltanto verso tutto ciò che era "spagnolo", ma anche verso tutto ciò che era "indio", nonostante l'apparente indigenismo di molti esponenti rivoluzionari. Molti sacerdoti sono morti mentre si recavano a celebrare la messa (nonostante la proibizione di farlo); alcuni muoiono addirittura con le specie consacrate in bocca, per difenderle dalla profanazione. I Martiri muoiono invocando la Vergine di Guadalupe. È anche la prova che Guadalupe non era un mito, né una fantasia religiosa scaturita da un sincretismo, ma un Evento che ha penetrato tutta la storia cattolica messicana e latinoamericana, come hanno detto i vescovi a Puebla nel 1989. Un altro aspetto dei Martiri è il loro impegno sociale. Li vediamo immersi in una grande attività nello sforzo di migliorare le condizioni della gente, per la giustizia sociale nei circoli operai, nella stampa, nella formazione di bambini e giovani. La vita non è separata dalla fede. I sacerdoti non rinunciano al loro ministero durante la persecuzione, e vivono nascosti, viaggiando di notte da rancho a rancho. Alcuni soldati si rifiutarono di sparare ai loro sacerdoti, e pagarono con la vita il loro gesto di gratitudine, di rispetto e di fede. Quei sacerdoti erano eroici nella fedeltà quotidiana al proprio sacerdozio, nelle circostanze difficili in cui si trovavano. Questi sono gli aspetti che metterei in evidenza come chiave di lettura della storia di un martirio, una delle storie più appassionanti e appassionate del 20° secolo.

padre Fidel González MCCI
docente alla Pontificia Università Gregoriana

giovedì 13 ottobre 2011

Giovanissimi martiri

Messico, 5 febbraio 1917. La costituzione entrata in vigore quel giorno buttava la Chiesa letteralmente sul lastrico: l’insegnamento avrebbe dovuto essere totalmente laicista, di fatto ateo; venivano soppresse le comunità religiose, si confiscavano i beni della Chiesa, si limitava l’attività del Clero pensando a una sua totale eliminazione. Era la persecuzione che iniziava con Carranza e Obregon e avrebbe raggiunto il livello più terribile con Calles, i tre “presidenti” del Messico, emuli dei più dichiarati nemici di Cristo, sostenuti dalla finanza e dalla massoneria.
La Chiesa fece di tutto per ricondurre a ragionevolezza costoro. Non servì a nulla. I cattolici del messico, cioè la stragrande maggioranza della popolazione, inviarono a Calles, nel 1926, una petizione con cui chiedevano l’abrogazione della legge di 33 articoli che di fatto li strangolava nella loro vita e azione. Non fu presa in considerazione, come furono ignorate la lettera pastorale dei vescovi messicani e la vibrante protesta del Santo Padre Pio XI.
Falliti tutti i mezzi pacifici, davanti alla persecuzione ormai dilagante in tutto il paese, i cattolici si organizzarono e insorsero con coraggio, nell’esercito dei “Cristeros”: un gruppetto, all’inizio, di poche persone, che diventò di alcune decine di migliaia di soldati di Cristo Re, bene addestrati che avrebbero dato filo da torcere ai “governativi”, con le loro azioni di veri eroi che giungeranno alla vittoria. La storia della “Cristiada”, cioè della lotta per Cristo, è ignorata da molti libri di testo, ma è una pagina gloriosa di fede e di eroismo del nostro secolo e di tutta la Chiesa.
I cattolici messicani ebbero i loro martiri e i loro santi – citiamo tra tutti il P. Agostino Pro, Gesuita – molti dei quali Papa Giovanni Paolo II ha elevato alla gloria degli altari il 22 novembre 1992. Già Papa Pio XI nell’enciclica Iniquis afflictisque (18 novembre 1926) li aveva indicati come modelli al mondo. Leggendo l’epopea di questi soldati e martiri per Cristo, siamo stati commossi fino alle lacrime soprattutto dall’eroismo e dal sacrificio dei ragazzi cattolici: qualcosa di sublime, eroi del puro ideale, che affrontarono la morte solo per difendere l’integrità della loro fede.

Joauim e Manuel

I protomartiri della “Cristiada” furono Joaquim Silva di 27 anni, e Manuel Malgarejo di 17 anni, entrambi attivissimi nella Gioventù Cattolica. Una volta sospeso il culto pubblico nelle chiese e iniziata una nuova era delle catacombe, per opere dei “progressisti” al potere, Joaquim e Manuel cominciarono a viaggiare per il paese, tenendo conferenze, incontri, in cui con la loro solida cultura, una fede ardente, “incendiavano” gli animi dei compagni di fede e a resistere e a testimoniare Gesù, sino all’ultimo. Sempre, ma più che mai in quel momento, la vita cristiana doveva essere intesa come milizia per Cristo.
Il 12 settembre 1925, in treno si recavano a Zamora per tenervi uno dei loro incontri. Proprio sul treno furono riconosciuti e arrestati dalla polizia. Calles, informato della loro cattura, diede di persona l’ordine di fucilarli immediatamente. Joaquim chiese che Manuel, minorenne, fosse risparmiato. Fu richiesta inutile.
Furono condotti tutti e due contro un muro: tenevano in mano la corona del Rosario e pregavano la Madonna di Guadalupe, patrona del Messico, per la loro patria. Nessuno riuscì a toglier loro di mano la corona. Ormai davanti al plotone di esecuzione Joaquim Silva parlò così ardente che i soldati ne furono toccati dentro. Uno di loro si rifiutò di partecipare all’esecuzione, per cui fu a sua volta arrestato e fucilato il giorno seguente. Joaquim disse con fierezza al comandante che li accusava di sovversione: “Noi non siamo dei criminali, né abbiamo paura della morte. Io stesso vi darò il segnale di sparare, quando griderò Viva Cristo Re, viva la Vergine di Guadalupe!”.
Caddero così, pochi istanti dopo, al grido di battaglia e di vittoria. I loro corpi straziati furono esposti nel cimitero. Prima della sepoltura i cattolici del luogo accorsero, videro che tenevano ancora il Rosario nelle mani irrigidite, si divisero in frammenti i loro abiti insanguinati per tenerli come reliquie, poi li rivestirono di bianche vesti, come i martiri delle prime generazioni cristiane, per l’eterno convito di gioia con Gesù.

José, Tomás e un piccino

Cadevano così, al grido di “Viva Cristo Re” giovani e adulti, ma anche numerosi ragazzi, giovanissimi. Incredibile, ma vero. Aveva solo 13 anni, José Sánchez del Rio e apparteneva, anche lui, alla Gioventù Cattolica, sezione aspiranti. Quando il dittatore Calles diede inizio alla strage, si presentò al generale Mendoza, uno dei capi della “cristiada”. “Sei troppo piccolo, per arruolarti” – gli disse. Rispose: “Se io non sono in grado di portare il fucile, potrà servirsi di me, in molti modi, come custodire i cavalli, lavorare in cucina, portare l’acqua e le munizioni”. Lo accettarono. Disse: “Voglio essere un soldato di Gesù Cristo”.
La sua mamma tentò di dissuaderlo, di richiamarlo a casa. Lui le scrisse: “Mamma, non lasciarmi perdere la bella occasione di guadagnarmi il Paradiso per così poca fatica e così presto”. Era un bambino vivace, immensamente simpatico, un amico di tutti, capace di giochi e di scherzi allegrissimi. Dal giorno della sua prima Comunione, aveva fatto il proposito sempre mantenuto, di confessarsi molto spesso, e di partecipare ogni giorno alla Messa con la Comunione. Aveva un amore appassionato, struggente per Gesù.
Nell’accampamento, diventò il prediletto dei “cristeros” e ogni giorno serviva la S. Messa al cappellano. Qualche tempo dopo il suo “arruolamento”, l’accettarono a far parte del corpo di spedizione per la battaglia di Cotija il 5 febbraio 1928. Era vicino a Mendoza, quando il cavallo del suo generale fu ucciso. José gli offrì il suo cavallo, ma entrambi furono fatti prigionieri.
I soldati di Calles si stupirono al vederlo così giovane e gli chiesero notizie sui “cristeros”. José non parlò, sapendo a che cosa andava incontro. Lo rinchiusero nella chiesa del paese trasformata dai senza-Dio in un pollaio. José passò la notte pregando, ma al mattino, accortosi di essere in una chiesa profanata, indignato tirò il collo a tutti i galli e le galline. Allora, i carcerieri lo picchiarono senza pietà. Lui rispose: “Lasciatemi vivo per la fucilazione, perché voglio morire martire per Gesù”.
Neppure davanti alle impiccagioni di altri prigionieri cattolici, non si lasciò impaurire e pregava per ognuno di loro. Poté scrivere alla mamma: “Cara mamma, mi hanno catturato e stanotte sarò fucilato. Ti prometto che in Paradiso preparerò un buon posto per tutti voi. E’ questa l’ora che ho tanto atteso”. Firmò: “Il tuo José che muore in difesa della fede cattolica, per amore di Cristo Re e della Madonna di Guadalupe”.
Il 10 febbraio 1928, alle undici di notte fu portato al cimitero. Durante il percorso, cantò l’inno “Cristo vince, Cristo regna, Cristo impera!” senza che alcuno riuscisse a farlo tacere. Fuori di sé dalla rabbia, i soldati di Calles lo colpirono a pugnalate. José disse loro, con un coraggio “divino”: “Avanti, ancora un po’ e poi sono con Gesù”. Lo finì un colpo di pistola al capo.

Tomás de la Mora viveva a Colima, bella città sul Pacifico e a 15 anni era un membro attivissimo del Circolo Cattolico. La sua passione era fare catechismo tra i bambini più poveri. Portava addosso lo scapolare del Carmelo, come segno di affidamento alla Madonna. Proprio per questo innocente motivo, il 15 agosto 1927 fu arrestato e condotto in caserma, dove il comandante gli domandò: “Sei anche tu amico dei fanatici, cioè dei preti, dei cattolici, dei briganti?”.
Rispose: “Non sono fanatici, ma liberatori della Chiesa e della patria oppressa dai tiranni”. Lo frustarono, perché rivelasse il nome dei “fanatici”. Ma lui non disse neppure una parola. Il comandante ordinò che fosse impiccato all’ “albero della libertà” eretto sulla piazza centrale di Colima. Numerosi cittadini protestarono, perché la costituzione escludeva i minorenni dalla pena di morte. Fu tutto inutile.
Al momento di ricevere la corda al collo, Tomás respinse gli aguzzini, dicendo: “Via da me, soldati di satana, non toccate il corpo di un soldato di Cristo Re!”. Da solo si pose la corda al collo, poi calmo e sereno, dichiarò: “Voi combattete contro Dio, ma Dio è più forte di voi e vi vincerà. Sì, Cristo vince, regna, trionfa!”. Quelli gli dissero: “Fa presto a dire il tuo ultimo desiderio”. Tomás guardò il cielo ed esclamò sorridente: “In Paradiso, pregherò per la mia mamma e per il mio papà, per i miei fratelli, per il Papa e per la Chiesa, per la nostra patria, e anche per voi, affinché vi convertiate. Che gioia morire per la gloria di Cristo Re! Viva Cristo re del Messico e del mondo intero!”.
Fu stretto il laccio e Tomàs pensolò nel vuoto. Aveva sedici anni.

Nei campi dei “Cristeros” c’erano persino i bambini piccoli che le mamme portavano con sé, seguendo i loro mariti nell’impresa. Guillerno Solis aveva solo cinque anni, quando stava con la sua mamma nell’accampamento dei liberatori di Colima. Mancava tutto e lui, il piccino, aveva tanta fame e tante sete. La mamma cercò disperatamente qualcosa, poi rimasta a mani vuote, gli disse: “Non ho trovato niente da darti, figlio mio”. Guillerno le rispose: “E allora dirai al Bambino Gesù che io soffrirò fame e sete per Lui”.

Basta, poso la penna e non scrivo più, anche se potrei continuare a lungo… Sono un nulla davanti a questi ragazzi, mi inginocchio e chiedo a Gesù di regnare oggi sul mondo, che tutti riconoscano la sua regalità di verità e di Amore. Ma, qui occorre alzarci e prtire e tornare a intendere la vita come milizia (“militia Christi!”), pacifica sì, ma più viva che mai, e stare in prima fila, appassionati, uniti, il Nome di Gesù sulla nostra fronte. Ci gloriamo di militare sotto le insegne di Cristo Re, che ha ogni potestà in cielo e sulla terra. “Sub Christi regis vexillis militare gloriamur!”

L. Ziliani, Messico Martire